“Incerte direzioni” è un’indagine che offre diverse prospettive interpretative, sia simboliche che filosofiche. Tuttavia, ciò che risulta ancora più affascinante è la riflessione sul linguaggio fotografico in sé, poiché emergono temi legati alla percezione: lo sguardo si smarrisce nella ricerca di molteplici orizzonti, si riflette in equilibri incerti, si dirama in direzioni sorprendenti, esplora le contraddizioni tra vuoto e pieno, tra simmetria e asimmetria, tra definizione e indefinizione. Questo è il panorama che l’autore, Giovanni Antonio Mocchi, ci offre.
Chi è Giovanni Antonio Mocchi
Giovanni Antonio Mocchi, originario e residente a Milano, si dedica alla fotografia professionale dal metà degli anni ’90, concentrando il suo impegno principalmente nel campo del reportage. I suoi lavori, accompagnati da testi completi, sono pubblicati su diverse riviste tra cui Vera, Diario e il supplemento iO Donna del Corriere della Sera, oltre ad apparire su periodici e quotidiani a livello regionale e locale.
Le sue immagini sono inoltre pubblicate su riviste come Abitare, Grafica & Disegno, Amica e Nigrizia, oltre ad essere presenti sui principali quotidiani nazionali come il Corriere della Sera, La Repubblica, Il Giorno e Il Manifesto. Ha inoltre collaborato con importanti aziende private e con il Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia di Milano.
Intervista
Buongiorno, Giovanni. Grazie per aver accettato di essere intervistato.
1. Qual è stato il momento o l’esperienza che ha ispirato “Incerte direzioni” e la sua esplorazione del metalinguaggio fotografico?
“Incerte direzioni” nasce per caso, riosservando gli scatti eseguiti negli ultimi anni e
trovando un nesso comune tra le immagini che mi hanno riportato alla vaghezza di un
sogno ricorrente e fastidioso: essere da qualche parte e non riuscire a trovare la via di casa,
dovendo proseguire forzatamente verso strade sconosciute.
Potrei dire che le immagini frutto dell’inconscio sono venute e bussare per chiedermi di
essere riconosciute, in quel momento è nato “Incerte direzioni”.
Sul “metalinguaggio”, provo a semplificare dicendo che le immagini del libro prevedono
una osservazione orizzontale, ma anche una possibile verticalità che può metterci in
contatto con una riflessione più profonda o più alta che può avere a che fare con le nostre
domande irrisolte, con aspirazioni e desideri.
2. Come ha scelto i soggetti e le scene per rappresentare i temi della percezione e dell’orientamento nel suo libro?
Camminando, quasi sempre camminando le scelte arrivano da sole, forse da lontano,
quindi ho lasciato fare alla suggestione e all’istinto che prevaleva in quel momento, potrei
anche dire che sono stati i soggetti e le situazioni a scegliere me.
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3. Quali tecniche fotografiche ha preferito utilizzare per catturare il contrasto tra simmetrico e asimmetrico?
Prima di scattare una fotografia, può prevalere la necessità di una osservazione armonica di
equilibrio di specularità, altre volte prevale il desiderio di movimento, di dinamicità che
può aiutare una tensione visiva; altre ancora si presentano entrambe le necessità e nella
stessa immagine tento di trovare una sintesi… ma è sempre l’istinto del momento ad avere
prevalenza sulla ragione.
4. Può descrivere una delle immagini del libro che ritiene più rappresentativa del concetto di “vuoto e pieno” e del perché?
Ce ne sono diverse ma prendo quella che incontriamo a pagina ventitre dove tra i campi
c’è una strada diritta che ci porta al bianco della nebbia che si unisce al cielo dello stesso
colore (molto simile ad una immagine di Luigi Ghirri).
La metà inferiore può essere il nostro piccolo reale che ci attornia, visibile e ancora
rassicurante mentre il nulla della metà superiore può rappresentare la grande domanda
sempre presente sullo sfondo di ognuno.
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5. Durante il suo processo creativo, ci sono stati ostacoli particolari che ha dovuto superare?
In particolare direi l’editing, trovare una corretta sequenza tra immagini così diverse non è
stato facile per me, ma l’aiuto è arrivato dall’esperienza e dalle capacità della curatrice
Giovanna Chiti, bravissima e fondamentale nella realizzazione del progetto.
6. C’è un fotografo o un artista che considera una significativa influenza per il suo lavoro in “Incerte direzioni”?
Direi Gianni Celati con le sue riflessioni (tra l’altro) sul vagare e lo sperdersi. Celati dice
che il vagare continuo porta in sé il senso di una fatalità che può impadronirsi delle nostre
scelte e dei nostri movimenti ma ci può introdurre alle meraviglie e agli incanti.
Poi Stefano Levi Della Torre per le bellissime riflessioni sul tema del “doppio” nel suo
“Zone di turbolenza”.
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7. In che modo spera che i lettori interagiscano o rispondano al suo lavoro e quali discussioni spera di innescare?
Cercando la propria unicità alla ricerca di un senso che ci possa appartenere si va,
attraversando e osservando realtà che paiono molteplici e differenti, sempre sul punto di
apparire ma che solo parzialmente si svelano. L’intenzione era quella di proporre immagini
aperte, che consentissero più interpretazioni e provare così a lasciare uno spiraglio
all’osservatore per poter entrare con i propri ricordi, la propria storia, la propria
immaginazione. Spero possa essere così
8. Può condividere un aneddoto interessante che si è verificato durante la realizzazione di questo progetto fotografico?
Il sogno fastidioso che mi tormentava è sparito dalle mie notti dopo aver riconosciuto le
immagini e dato loro appartenenza al progetto.
9. Quanto è importante per lei il testo che accompagna le fotografie nel libro e come ha lavorato per integrarlo con le immagini?
Lo ritengo utile ma non fondamentale, potrebbero essere inseriti anche altri testi, anzi,
ognuno dovrebbe provare a inserirne uno suo…
10. Qual è il messaggio più profondo o la riflessione che spera di lasciare nei suoi lettori con “Incerte direzioni”?
La speranza è quella di invitare lo sguardo di chi osserva oltre l’apparente.
Ogni volta che ci perdiamo siamo all’inizio di una nuova avventura il cammino prosegue,
prosegue oltre le costrizioni o le dipendenze delle realtà quotidiane.
Il libro in fondo è una riflessione su un tratto di strada della vita. Se è vero che le
riflessioni sono sempre molto personali è anche vero che molte delle nostre vicende si
assomigliano e penso che sia bello immaginare di poterle condividere.
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Grazie per la tua disponibilità, Giovanni. È stato un piacere parlare con te.
Grazie a voi. È stato un piacere anche per me.