Ho letto con grande passione il Processo di Josef Kafka, ne scrivo una recensione. Condannato per un reato inesistente, è un prodotto del suo periodo. Sostiene gli interrogatori e cerca avvocati e testimoni per giustificare il suo crimine di “essere ed esistere”.
Ma, come è consuetudine nelle opere di Kafka, la penetrante concretezza delle condizioni si traduce nello svolgersi di una tragedia cosmica su figure del tutto astratte. La corte diventa dunque il mondo stesso.
Il processo (Der Prozess, Der Proceß, Der Prozeß, Der Prozess) è un romanzo incompiuto di Franz Kafka scritto in tedesco tra il 1914 e il 1915 e pubblicato postumo per la prima volta nel 1925. È considerato una delle sue opere migliori e descrive la narrativa di Josef K., un uomo che viene imprigionato e perseguito dalle autorità senza conoscere la natura del suo crimine.
Il lavoro analizza anche l’accettazione passiva da parte degli altri personaggi dell’inevitabilità di una giustizia che agisce come un fenomeno fisico, con le sue logiche autoreferenziali e incomprensibili, contro le quali la razionalità e la lucidità di Josef K. vengono messe alla prova per ragioni sconosciute.
L’influenza di Dostoevskij, che Kafka definì un “cugino di sangue”, è chiara, specialmente nelle sue opere Delitto e castigo e I fratelli Karamazov. [1] Kafka scrisse il capitolo finale dell’opera lasciandolo incompiuto (diversi capitoli intermedi non furono completati e sopravvivono in forma frammentaria).
Il romanzo è stato adattato in un film con lo stesso nome, diretto da Orson Welles e interpretato da Anthony Perkins e lo stesso Welles, nel 1962.
Le Monde lo colloca al terzo posto tra i 100 migliori libri scritti nel XX secolo. Trovo molte offerte convenienti dal mio rivenditore di libri online di fiducia.
Il processo di Kafka la trama
Josef K., il protagonista del romanzo il processo di Kafka, lavora come procuratore presso un’organizzazione finanziaria. Due ragazzi a lui sconosciuti arrivano una mattina a casa sua, dichiarandolo in arresto ma senza trattenerlo. K. si rende conto di essere accusato in un processo. Decide di intervenire tempestivamente per risolvere quello che considera un deplorevole (ma transitorio) malinteso.
K. capisce presto che il suo processo sta effettivamente iniziando. K. inizialmente cerca di confrontare la macchina procedurale con la logica e il pragmatismo appresi in banca. Tuttavia, né la data né le modalità del processo, né altre caratteristiche del suo funzionamento, sono pienamente fornite all’imputato, nemmeno durante la sua deposizione in tribunale. K. non sarà mai informato dell’accusa a suo carico.
Su suggerimento di suo zio, K. nomina un avvocato che lo rappresenti. L’avvocato, pur assicurando a K. il proprio impegno nella sua causa, sembra operare con la stessa opacità tipica del tribunale, intraprendendo sforzi di cui K. non è in grado di valutare appieno l’efficacia. Alla fine, K. decide di revocare il mandato dell’avvocato, nonostante i suoi tentativi di convincerlo del contrario. K. entrerà anche in contatto con un pittore, Titorelli, che sembrerebbe fare del suo meglio per lui, anche se senza risultati tangibili.
Questo abbandono della difesa funge da prologo all’epilogo della storia. Josef K. viene effettivamente preso da due ufficiali del tribunale e portato in una cava, dove viene pugnalato a morte. K. muore a seguito di una sentenza inflitta da un tribunale che non lo ha mai informato della natura delle accuse a suo carico e non gli ha mai fornito alcun riferimento per organizzare una difesa efficace.
Il processo di Kafka: La conversazione della signora Grubach. La signorina Bürstner è arrivata.
Continuiamo ad analizzare il processo di Kafka. La mattina del suo trentunesimo compleanno, Josef K., avvocato finanziario in una delle banche più importanti della città, si sveglia con la sgradita sorpresa di due uomini, a lui completamente sconosciuti, che lo aspettano nella stanza che sta affittando; identificati molto laconicamente come agenti di polizia, Wilhelm e Franz, i due chiariscono che la loro intenzione è di arrestarlo, oltre ad informarlo che è già in corso un processo penale contro di lui.
A Josef K. non viene dato alcun accenno del crimine per il quale dovrebbe essere processato, ei due agenti sembrano evitare qualsiasi domanda da parte dell’interessato. L’iconica apertura introduce questa situazione:
“Qualcuno deve aver calunniato Josef K., perché una mattina è stato trattenuto senza aver fatto nulla di male.”
Sebbene sia quindi considerato in stato di arresto, gli agenti non intraprendono alcuna azione contro Josef e lo lasciano invece libero di svolgere la sua vita quotidiana; può anche andare a lavorare in banca come al solito. Confuso da questo evento improvviso, il protagonista decide di intervenire il più rapidamente possibile per cercare di chiarire, pur nell’estrema oscurità della situazione, la sua assoluta estraneità a qualsiasi delitto che venga messo in discussione.
Tornando a casa dal lavoro quella sera, discute della situazione con la sua inquilina, la signora Grubach, che quella mattina aveva costretto i due agenti a sedersi nella sua stanza mentre lui stava ancora dormendo. La padrona di casa, razionalizzando la sua decisione di lasciarli entrare senza preavviso, tende a sminuire la cosa e, infatti, lo rassicura sulla gravità dell’arresto:
“Non devi prenderlo troppo sul serio. Cosa non succede nel mondo!”
In cerca di compagnia e sostegno morale, fa poi visita alla sua vicina, la signorina Bürstner; al termine della conversazione, in cui ricrea meticolosamente la scena dell’arresto, e dopo essersi ripetutamente scusato per l’intrusione nella sua stanza, Josef si lascia improvvisamente trasportare dai suoi sentimenti e la bacia.
L’interrogatorio iniziale
Continuando la lettura del processo di Kafka arriviamo al primo interrogatorio. Josef K. si presenta alla prima udienza del processo avviato a suo carico dopo aver ricevuto una telefonata che lo convoca espressamente davanti al tribunale per la domenica successiva, ancora abbastanza fiducioso nella sua perfetta estraneità di fronte a ogni fatto a lui imputato.
Seguendo la strada per l’indirizzo che gli è stato dato, si ritrova in un sobborgo periferico abitato da famiglie povere: gli edifici hanno tutti lo stesso aspetto trascurato, e cerca di trovare la sede del tribunale. Quando finalmente individua l’edificio in carica, scopre che l’aula del tribunale è conservata nella squallida soffitta al piano superiore; qui incontra il gip, che lo attende nell’affollata aula fino a renderla insopportabilmente congestionata.
Anche se Josef non ha idea di cosa sia stato accusato, si lancia immediatamente in una difesa appassionata e furiosa, facendo esplodere anche la disfunzione della burocrazia giudiziaria. Tiene così un lungo discorso in cui attacca l’intera legittimità del processo, compresi gli agenti che lo hanno proclamato unilateralmente in arresto, accusandoli di aver esagerato con la colazione e di avergli rubato delle mutande.
Durante la lunga autodifesa, la moglie dell’usciere si ritrova impegnata in un’impegnativa attività sessuale con uno sconosciuto in un angolo buio, il tutto nella totale indifferenza generale. Josef esce dall’aula senza dire nulla dopo lo sfogo.
La sala delle udienze era deserta. Lo studente. Le Cancellerie
Vediamo come prosegue il nostro romanzo il processo di Kafka. La settimana successiva Josef K. decide di tornare in tribunale, volendo avere un altro colloquio con il tribunale nonostante non sia stato riconvocato, ma quando arriva trova l’aula spoglia e deserta, oltre che sporca. Quando Josef si imbatte nella moglie dell’usciere, comincia a parlarle di lei, mostrando la sua audacia e fiducia in se stesso e confidandole di non prendere sul serio il processo o la minaccia di una possibile condanna.
La donna è molto affascinante e cerca di sedurlo mostrandogli le gambe e un accenno di biancheria intima; in cambio della sua compagnia, si offre di aiutarlo, dandogli nuove informazioni e notizie sulla sua causa al processo, ma uno studente che ha fatto irruzione all’improvviso finisce per portarla via.
K. incontra poi l’usciere, che subito comincia a lamentarsi di come tutti trattano e approfittano della moglie, prima di esortare K. a ribellarsi al suo posto; poi lo conduce alla cancelleria distrettuale, che si trova nella soffitta airless dell’edificio grigio.
Qui, il protagonista incontra un imputato che, non rendendosi conto di essere anche un accusato, lo tira finché non lo spinge via, presumendo che Josef voglia solo rubargli il posto che gli spetta nella fila. Alla fine, una ragazza, accompagnata da un uomo che gli presenta come “Informatore”, lo aiuta a trovare l’uscita.
L’amico della signorina Bürstner
Continuiamo l’analisi del nostro romanzo il processo di Kafka. Tornato a casa, ingaggia la signorina Montag, un’altra giovane inquilina che condivide una stanza con Bürstner, in una conversazione sul suo calvario legale, ma mentre lui le racconta in tutta sincerità il suo caso, sente attraverso le pareti sottili qualcuno si muove con il vicino nella stanza accanto.
A questo punto Josef sospetta che Bürstner lo faccia apposta per impedirgli di raccontare fino in fondo la propria storia. Poco dopo, un altro inquilino, Lanz, si unisce, facendogli perdere le tracce della conversazione. Sembrano essere in combutta con lui.
Il fustigatore
Durante una normale giornata di lavoro in banca, Josef K. sente dei lamenti provenire da uno degli armadi/magazzini dell’ufficio: mentre apre la porta con determinazione, scopre un delinquente che si prepara a frustare i due agenti che lo avevano informato del suo arresto. Ecco uno dei punti cruciali del processo di Kafka.
Viene a sapere che questa è una sentenza del tribunale per i reati minori di cui Josef li ha accusati nella sua arringa. Josef, colpito dalla simpatia ma anche preoccupato che la loro presenza riveli la sua terribile situazione legale a tutti i suoi colleghi, cerca ma non riesce a dissuadere il delinquente dal suo dovere.
La sera seguente, il protagonista apre la porta davanti ai tre uomini, ma questa volta, chiudendo la porta, chiede con nonchalance agli inservienti di pulire il magazzino inquinato dal sangue dei due.
Leni, suo zio
Il romanzo il processo di Kafka continua nel seguente modo. Il giovane protagonista riceve poi la visita dello zio, che viene a conoscenza del processo. Durante il lungo colloquio che ne è seguito, lui, angosciato e preoccupato per la difficile situazione del nipote, lo invita a contattare un noto e rispettato “difensore dei poveri”, il suo amico Huld; allo stesso tempo, gli consiglia vivamente di non prendere alla leggera l’accusa mossa contro di lui dal tribunale, come sembra aver fatto finora.
Josef K. accetta il suggerimento dello zio e fa visita allo studio di Huld, dove incontra una particolare Leni, sua assistente e infermiera personale (e, sospetta, forse anche la sua amante), che subito se ne innamora e lo consiglia, mentre lui lo fa non esitare. Un momento per corteggiarlo, per essere meno intransigenti in generale I due alla fine si baciano.
Durante il confronto con l’avvocato, diventa evidente come questo processo si discosti da qualsiasi altro processo ordinario: la presunta colpevolezza è affidata alla burocrazia che la gestisce, che è molto ampia e ha numerosi strati e mantiene segreto il regolamento del tribunale oltre il nome dei giudici. L’avvocato può preparargli una difesa, ma poiché l’accusa è sconosciuta, il compito può rivelarsi difficile; inoltre, sostiene che le difese che invia non sono sempre lette da qualcuno in tribunale.
Josef riconosce che il ruolo di Huld è quello di affrontare e tenere il passo con i potenti funzionari di corte che operano dietro le quinte; è un lavoro difficile. Mentre stanno ancora parlando, l’avvocato informa che il capo della cancelleria del tribunale sta origliando in un angolo della grande stanza in cui si trovano.
Quando viene convocato, proprio in quel momento Josef viene portato in un’altra stanza da Leni, che si offre anche lei di aiutarlo, ei due iniziano una connessione sessuale. Quando Josef se ne va, trova suo zio ovviamente infelice, perché dirgli che se n’è andato proprio mentre la testa del cancelliere si è unita alla scena è una significativa mancanza di rispetto che potrebbe compromettere seriamente il suo caso.
L’avvocato. L’uomo d’affari. Il pittore
Il protagonista del processo di Kafka, Josef K. torna più volte per vedere il suo avvocato, che progressivamente gli racconta come funziona il tribunale. Huld lo apprende anche che gli sarà richiesto di comporre un promemoria personale da consegnare alla corte. Ma più parla con l’avvocato, più le cose sembrano andare storte: Huld, infatti, gli racconta di come la sua situazione diventi giorno dopo giorno sempre più terribile, senza mai dargli spiegazioni vere.
Gli racconta poi delle numerose altre volte in cui ha radunato la difesa di altri clienti disperati e di come li ha aiutati a causa delle sue numerose conoscenze con lui, di cui è molto orgoglioso. Nel frattempo, la memoria difensiva sembra non essere mai pronta.
Nel frattempo, il lavoro di Josef in banca diventa sempre più difficile e inizia a deteriorarsi in termini di qualità, poiché è preoccupato per il suo caso. Un giorno riceve la visita di un industriale, uno dei maggiori clienti della banca: appreso delle sue difficoltà, offre il suo aiuto indirizzandolo ad un amico pittore, un certo “Titorelli”. Quasi probabilmente sarà in grado di dargli validi consigli grazie alla sua ampia e approfondita conoscenza della corte.
Josef va quindi a trovare il pittore, che abita nella soffitta di un palazzo in un quartiere dalla parte opposta della città rispetto a quella in cui si trova la corte: mentre sale le scale d’ingresso incontra tre ragazze che iniziano a schernirlo e tormentarlo sessualmente. Titorelli è il pittore ufficiale di corte, il ritrattista dell’intera corte – un “titolo” ereditato dal padre – e quindi ha una conoscenza approfondita del processo.
Josef viene quindi a sapere che, per quanto ne sa il pittore, non è mai avvenuta un’assoluzione nel tipo di processo che sta affrontando: quando Josef si dichiara innocente ad alta voce, Titorelli risponde che una volta iniziato il processo è difficile difendersi dalle accuse mosse contro l’imputato: nessuno è mai innocente.
Il pittore informa quindi il giovane che le sue attuali opzioni sono di ottenere una sentenza di innocenza provvisoria da un tribunale di grado inferiore, che può essere revocata in qualsiasi momento dai livelli superiori del tribunale giudiziario (e, in tal caso, il processo riprenderebbe subito); o per cercare di ringraziare i giudici di livello inferiore per mantenere immobile il suo caso.
Dopo aver spiegato a fondo la situazione, Titorelli alla fine lo costringe a uscire da una porta sul retro, poiché le ragazze di prima stanno bloccando la porta d’ingresso, bloccando i suoi progressi. Non appena varca la soglia, il giovane si ritrova in un complesso labirinto che identifica subito come gli uffici del tribunale, dall’atmosfera sgradevole e claustrofobica.
Block il commerciante e il licenziamento dell’avvocato
Seguiamo ancora le vicende del protagonista del processo di Kafka. Josef torna da Huld per rifiutare pubblicamente la sua assistenza, avendo deciso di riprendere il pieno controllo della sua professione sulla base del consiglio del pittore. Nello studio dell’avvocato incontra Block, un cliente di Huld che sembra essere un individuo sottomesso e oppresso: il suo caso è in corso da cinque anni e, da ricco uomo d’affari, è ora morto in uno stato di quasi insolvenza.
L’uomo è quindi ridotto ad essere praticamente dipendente da Huld e Leni, con i quali sembra avere anche una relazione sessuale; Josef la incontra infatti proprio mentre sembra che stia conversando con il suo amante, facendo una lieve scena di gelosia per aver scoperto l’uomo in maniche di camicia.
Block discute in dettaglio la sua intera esperienza processuale, sostenendo che gli imputati diventano superstiziosi e si isolano dal resto del mondo. K. ha poi l’opportunità di incontrare l’avvocato, ma la loro discussione, durante la quale l’avvocato prende in giro Block, definendolo “un cagnolino”, viene bruscamente interrotta e il capitolo viene quindi considerato incompiuto.
All’interno del Duomo
La banca chiede a Josef di accompagnare un facoltoso cliente italiano appena arrivato in città per affari in un giro per la città, mostrandogli le principali attrazioni culturali e, in breve, facendogli da guida. Il cliente, invece, sembra non avere molto tempo libero e chiede quindi a Josef di portarlo semplicemente in cattedrale; prendono appuntamento lì per un’ora specifica, ma quando Josef arriva all’ora specificata, il cliente non compare.
Per ammazzare il tempo, Josef entra nella grande chiesa, che è completamente vuota tranne che per una vecchia e allora un officiante; nota che il sacerdote sembra prepararsi a tenere un sermone da uno dei piccoli pulpiti secondari a lato della navata. Josef inizia quindi ad allontanarsi, temendo che il prete si mettesse a parlare e lo costringesse a trattenersi fino alla fine dell’evento.
Invece di fare un sermone, il sacerdote gli si rivolge per nome dal pulpito a un certo punto. Avvicinandosi, il religioso gli rimprovera vari punti di vista, particolarmente verso le donne; Josef lo esorta ad andarsene, ma due uomini entrano in chiesa contemporaneamente. In realtà, il sacerdote lavora per il tribunale come cappellano del carcere, quindi informa Josef che sa tutto del suo processo.
Le parole del cappellano, che espone in una sorta di parabola sulla giustizia (passaggio originariamente scritto dall’autore prima della produzione del romanzo e intitolato Prima della legge), sembrano scritte con lo scopo di preparare Josef K. alla peggio.
“Il tribunale non ti fa richieste. Ti accoglie quando arrivi e ti lascia andare quando vai.”
I due iniziano quindi a dibattere sulla corretta interpretazione della parabola, ma il sacerdote determina che la vicenda, da lui definita anche piuttosto antica, ha visto alternarsi nella sua indagine critica numerosi funzionari di corte, ognuno dei quali è arrivato a un risultato diverso.
La fine del libro
Alla vigilia del suo trentunesimo compleanno, Josef fa visita. Due signori si avvicinano davanti alla porta della sua stanza e la prendono senza dare niente. D’altra parte, non offre resistenza, sapendo che sono loro gli esecutori della sentenza che il tribunale è finalmente giunto al punto di emettere. Dopo aver attraversato praticamente l’intera città a piedi, i due lo afferrano per un braccio e lo conducono a una cava di pietra.
Josef viene messo all’interno di un buco e uno di loro estrae un coltello da macellaio a doppio taglio. Mentre dà il suo ultimo sguardo alla vita, Josef K. nota un uomo sporgersi da una finestra, il che lo fa arrabbiare alla prospettiva di essere visto mentre sta per essere giustiziato. Mentre pronuncia le sue ultime parole, viene pugnalato due volte al cuore:
«”Come un cane!” esclamò, e gli parve che la vergogna gli sarebbe sopravvissuta.
Il romanzo si conclude così con la morte del protagonista: l’autore del reato è stato trasportato. [3]
Appendice capitoli incompiuti
Ci sono anche diversi frammenti sparsi di varia lunghezza nell’appendice del libro all’epilogo, tra cui una visita a Elsa (un personaggio di cui Leni è gelosa), una visita alla madre di Joseph e al pubblico ministero Hasterer, oltre a pagine aggiuntive con Titorelli e il vicedirettore della banca.
- Da Elsa
- Dalla madre
- Il pubblico ministero
- La casa
- La lotta col vicedirettore
- Frammento
Il Processo di Kafka, la mia recensione
Per diversi giorni ho riflettuto sulla chiave di lettura e analisi di questo libro impegnativo: determinarne il significato. Secondo me il protagonista, Joseph, sta vivendo un incubo. In questo sogno, una mattina si sveglia e viene incolpato senza capire perché o da chi.
Proseguendo nella lettura, si può capire che questa accusa non è altro che il suo destino, che lo mette sotto processo e, alla fine, lo condanna, come tutti i nostri destini. Cerca di capire ma non ci riesce; si attribuisce anche una colpa… che cerca di capire… ma non c’è nessuna colpa. Sceglie semplicemente e porta via il caso. Terribile.
Ho pensato ad una chiave interpretativa… una chiave non del tutto scontata. La nostra verità soggettiva si applica a tutto. Credo che la storia sia un incubo. Un sogno in cui il protagonista è travolto dal destino, destino inevitabile a cui tenterà ma non risponderà.
Il nostro destino è la nostra prova con la vita, una prova che determina se siamo colpevoli o meno senza la nostra capacità di intervenire.
Considerate questo libro poco interessante, come fanno alcuni; è come pensare che un viaggio su Urano sia una routine . Chi non dispone degli strumenti culturali necessari deve limitarsi a leggere Moccia e non procedere oltre.
Un romanzo fondamentale della letteratura mondiale. Certamente non facile e scorrevole nella sua originalità, che, di per sé, aiuta ad alleggerire il racconto. Una perla è la parabola della porta con le gambe, del custode e del contadino: può essere proposta ancora oggi nella sua brutale verità simbolica.
Un romanzo fantastico, e forse l’unico completamente riuscito di Kafka. Il nono capitolo, “Il duomo”, fornisce una sintesi “teologica” di tutta la storia di K., facendola apparire simile a quella di Giobbe, ma senza riconciliazione con Dio (o forse: l’assenza di riconciliazione è proprio il senso di K. ” elezione “).
Ho una domanda per chi ha trovato noioso lo scritto di Franz Kafka: il processo in India ai due marò italiani appare così diverso da quello subito da Josef K.? Oppure vogliamo discutere dei numerosi episodi di errori/atrocità giudiziarie che si sono verificati negli uffici giudiziari italiani?
Il problema principale di questo romanzo, tuttavia, non è il peculiare caso giudiziario in sé, ma qualcos’altro: il dolore dell’individuo borghese all’alba della società di massa, la preoccupazione di non sentirsi al sicuro, lo smarrimento collettivo di fronte a lui.
L’abilità e l’arte di Kafka consiste nel rappresentare queste preoccupazioni attraverso la metafora del processo iniquo. Certo, chi è privo di una vasta cultura storica, filosofica e letteraria non può cogliere tutto questo, ma non potrà mai cogliere la grandezza dei classici se è abituato a leggere i romanzi finalisti dell’odierno Premio “Strega” o i best seller internazionali in stile “Codice Da Vinci”.
Primo Levi traduce Franz Kafka.
Leggere il Processo, un libro pieno di infelicità e poesia, ti cambia: ti rende più triste e consapevole di prima. Quindi è così, questo è il destino umano: si potrebbe essere perseguiti e puniti per un errore giudiziario e non detto che “il tribunale” non ci rivelerà mai la causa.
Nota del traduttore Primo Levi al “Processo” di Kafka.
Eppure, a causa di questa colpa, si può portare disgrazia, fino alla morte e forse oltre. Ora, tradurre è più che leggere:. Tradurre è come guardare al microscopio la carta di un libro, entrarci, rimanerne impigliati e interessati. Prendiamo il controllo di questo universo distorto in cui tutte le aspettative razionali vengono soddisfatte con delusione. Veniamo guidati con Josef K. attraverso meandri oscuri e strade tortuose che sembrano non portare mai da nessuna parte.
Fin dalla prima frase si precipita nell’incubo dell’insondabile, e in ogni pagina si incontrano tratti compulsivi: presenze estranee perseguitano e perseguitano K., ficcanaso intrusi che lo spiano da vicino e da lontano e davanti ai quali si sente esposto.
C’è un continuo senso di costrizione fisica: i soffitti sono bassi, le stanze sono ingombra, e l’aria è nebulosa, afosa, stantia e triste; stranamente, ma significativamente, il cielo è limpido solo nella dura scena finale dell’esecuzione.
K. è tormentato da interazioni corporee libere e irritanti, valanghe di parole confuse che dovrebbero chiarire il suo destino ma invece confonderlo, gesti insulsi e ambientazioni terribilmente deprimenti. La sua dignità umana è minata fin dall’inizio, e poi inesorabilmente distrutta giorno dopo giorno. (tema ricorrente per Levi).
Solo le donne possono, o potrebbero, portare la salvezza: sono materne, affettuose, ma irraggiungibili. Solo Leni si lascia avvicinare, ma K. la disprezza e vuole sentirsi dire di no: la salute non gli interessa. Ha paura e brama di essere punito.
Non credo che Kafka mi sia molto vicino (ora scrive in prima persona). In questo lavoro di traduzione ho sentito spesso una collisione, un conflitto, una tentazione immodesta di sciogliere i nodi del testo a modo mio: correggere, insomma, tirare su scelte linguistiche, sovrapporre il mio modo di scrivere di Kafka. Mi sono sforzato di non cedere a questa tentazione.
Poiché so che non esiste un “modo corretto” di tradurre, mi sono affidato all’istinto piuttosto che alla logica e ho seguito una linea di accuratezza interpretativa il più onesta possibile, anche se non necessariamente coerente da pagina a pagina, perché non tutte le pagine hanno le stesse difficoltà.
Avevo davanti a me la traduzione di Alberto Spaini del 1933, e vi riconoscevo la ragionevole tendenza a presentare il grezzo come liscio, l’inspiegabile come intelligibile. Il più recente (1973) di Giorgio Zampa ha un approccio opposto: è filologicamente rigoroso, rispettoso fino in fondo, fino alla punteggiatura; è parallelo, interlineare.
È traduzione e, come tale, si rivela apertamente; non si maschera come il testo originale. Non aiuta il lettore, non prepara la strada e mantiene coraggiosamente la ricchezza sintattica del tedesco.
Sento di aver trovato una via felice tra i due. Riconoscendo, ad esempio, l’effetto compulsivo (forse intenzionale) generato dal monologo dell’avvocato Huld, che dura 10 pagine senza una nuova riga, ho avuto pietà del lettore italiano e ho fornito alcune interruzioni.
Per preservare la brevità della lingua, ho rimosso alcuni avverbi limitanti (quasi, molto, poco, circa, forse, ecc.) che il tedesco tollera meglio dell’italiano. D’altra parte, non ho fatto alcun tentativo di ridurre l’accumulo di termini dalla famiglia: probabile, intravedere, notare, come se, apparentemente, simile, e così via; mi sono sembrati tipici, se non indispensabili, in questa storia che dipana senza sosta eventi in cui nulla è come appare.
Per tutto il resto, ho fatto ogni tentativo per conciliare l’accuratezza del testo con il flusso linguistico. Ho lasciato contraddizioni e ripetizioni nel testo, che è particolarmente angosciato e contestato.
Il Processo di Kafka il film
Mentre Orson Wells appare nel film di Abel Gance, Napoleon ad Austerlitz nel 1960, viene avvicinato dal produttore Alexander Salkind, che gli dà l’opportunità di adattare il romanzo di Franz Kafka Il processo per il grande schermo.
Il film sarà girato in Italia, Francia e Jugoslavia nel 1962. Welles, da sempre interessato al progetto, si tuffa a capofitto nella regia interpretando contemporaneamente l’avvocato Hastler (sebbene più per necessità che per volontà, come Charles Laughton , al quale ha voluto affidare il ruolo, era molto malato e non ha potuto accettare l’incarico).
Il processo, come i precedenti film di Welles, è stato girato al di fuori del sistema degli studi di Hollywood a una frazione del costo. Nonostante, o forse a causa delle difficoltà di produzione, è uno dei rari film che aderisce alla volontà del regista, insieme a Quarto potere.
Lo stile e la struttura del film
Il film è visivamente sbalorditivo e tecnicamente impressionante, con un virtuosismo assolutamente eccezionale per l’epoca. Il montaggio inizia lentamente e prende velocità man mano che la storia procede. Girato in bianco e nero scintillante con contrasti molto forti e con l’uso frequente del grandangolo (18,5 mm) per deformare le immagini e accentuare il senso di minaccia latente e claustrofobia delle atmosfere, il film sfoggia scenografie imponenti e allucinanti allo stesso tempo (il tribunale, l’ufficio di K., lo studio di Hastler, ecc.) che rendono pienamente il pesante senso di soffocamento presente nel romanzo originale.
Le foto ei set ci trasportano in un regno surreale; il bianco e nero taglia nettamente i corpi, accentua ogni caratteristica e conferisce agli interni un’aura spettrale, espressionista e metallica. Le ambientazioni in cui si muove K. sembrano prese direttamente dalla Metropolis di Lang, una fredda città di ferro e vetro, in questo caso abbandonata. L’unica rappresentazione di una folla di Welles è quella degli accusati in tribunale, persone che hanno aspettato per anni, come anime in uno strano purgatorio. Altre persone o non hanno una faccia, come i giudici della Corte Suprema, o sono deformate dalla bruttezza interiore.
Solo le donne, seppur in modo incoerente, offrono assistenza a K., ma anche loro sono vittime di un sistema che permette loro di sopravvivere esclusivamente grazie al proprio corpo. Le personalità femminili ambigue e reticenti sono incarnate da alcune delle attrici più affascinanti d’Europa: la francese Jeanne Moreau, l’italiana Elsa Martinelli e l’austriaca Romy Schneider.
La sequenza di apertura, che alcuni critici considerano la parte migliore del film, è una caratteristica molto distintiva di questo lungometraggio. Alexandre Alexeieff ha creato l’intera sequenza utilizzando il suo famoso pin screen: uno schermo in cui migliaia di perni retrattili erano fissati perpendicolarmente, proiettando un’ombra a seconda di come venivano spostati; così si potevano creare immagini in movimento grazie al gioco di chiaroscuri prodotto dalle ombre degli spilli.
Come la critica considera il film di Welles sul processo di Kafka
Il film ha ricevuto recensioni contrastanti. Alcuni commentatori hanno rimproverato Welles di “freddezza” nell’esposizione della storia, per non aver coinvolto il pubblico nell’evento raccontato. La critica più comune rivolta al regista è stata quella di non aderire completamente al lavoro di Kafka.
In effetti, il metodo di Orson Welles differisce significativamente da quello di Kafka. Il protagonista, Josef K., è molto più deciso, audace e sardonico che nel romanzo; inoltre, è assente il cosiddetto “monologo interno”, che indica l’intero svolgersi della storia.
La passività del letterato K. è scomparsa e il finale è drammaticamente alterato rispetto al romanzo. Anche la scelta di Anthony Perkins come protagonista è stata messa in discussione, con i critici che hanno affermato che l’attore americano era troppo poco emotivo e “carico” nella sua interpretazione, che i personaggi mancavano di profondità e che gli attori erano generalmente mal diretti.
Alcuni critici si sono complimentati con la capacità di Welles di rendere sullo schermo le atmosfere surreali da incubo del lavoro di Kafka, così come il talento visivo fantasioso del regista. In Metropolis n. 3 (maggio 1979), il critico Sandro Studer ha definito il film “il vero capolavoro di Welles, degno di essere alla pari di Quarto Potere”.
Anche Welles era soddisfatto del lavoro e in un’intervista ai Cahiers du cinéma ha dichiarato: “Dì quello che vuoi, ma The Trial è il miglior film che ho fatto”.
Infine, Orson Welles dipinge con grande chiarezza un universo in cui la follia è una combinazione di freddezza, perversione e carnalità, in cui tutti sono colpevoli e in cui molti sono solo pedine in un gioco incomprensibile, come gli agenti di polizia incaricati dell’arresto di K. , torturato perché ha testimoniato in tribunale di essere stato derubato da loro.
Il film racconta l’immersione di un cittadino nell’ambiente giudiziario claustrofobico, attraverso una serie di situazioni in costante diminuzione, dalla vastità dell’auditorium della corte suprema agli angusti confini dei corridoi e dell’atelier del pittore.
Questo effetto trasmette allo spettatore la crescente miseria di K., che diminuisce solo quando accetta la sua condanna e il suo destino, a quel punto ci viene nuovamente mostrata un’atmosfera aperta. Inoltre, la scena in cui Josef e suo cugino si trovano davanti all’aula e i loro corpi si perdono nella maestosità delle statue che fiancheggiano le scale racconta chiaramente al pubblico quanto piccolo e poco importante sia la persona normale al cospetto dell’imponente legge.
Dal libro al film
I cambiamenti principali tra le trame di Il Process e il film sono nella seconda metà del film e nel finale. Nel romanzo, il signor K. visita la cattedrale per guidare un cliente della banca dove lavora, tuttavia nel film si ritrova nella cattedrale dopo essere fuggito dalla bottega del pittore Titorelli. Inoltre, mentre nel film viene spiato visivamente dalle ragazze sulle scale, ciò non accade nel romanzo, nonostante assediano la bottega del pittore o
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