Cenere di Grazia Deledda fu pubblicato nel 1904, dopo aver visto la luce a puntate l’anno precedente sulla rivista Nuova Antologia. La trama segue la vicenda di una giovane donna che, avendo concepito un figlio con un uomo sposato, viene esclusa dalla sua comunità. Incapace di garantire un futuro al bambino, decide di lasciarlo alla famiglia paterna. Quando il figlio cresce, però, cerca la madre, anche a costo di compromettere il suo matrimonio e le sue prospettive di vita borghese.
Sullo sfondo della città e delle campagne circostanti, Grazia Deledda sviluppa una narrazione che intreccia temi ricorrenti nella sua opera, come il peccato, la passione violenta e il senso di colpa. Nella Roma di quel tempo, Grazia Deledda esplora l’antica inconciliabilità tra vincoli di sangue e consuetudini sociali. Situata idealmente in una via Grazia Deledda di conflitti e tensioni, la storia riflette le complessità delle norme sociali e le lotte personali dei suoi personaggi. Potrebbe interessarti leggere anche l’articolo su: I Fratelli Karamazov di Fëdor Dostoevskij
La mia recensione
Cenere di Grazia Deledda ⭐️⭐️⭐️⭐️⭐️
In Cenere, pubblicato nel 1904 e uscito a puntate l’anno precedente sulla rivista Nuova Antologia, Grazia Deledda ci regala un romanzo che esplora con intensa profondità i temi del peccato, della passione e del senso di colpa, incapsulando l’essenza della sua narrativa. La trama ruota attorno a una giovane donna che, dopo aver concepito un figlio con un uomo sposato, viene ostracizzata dalla sua comunità. Non potendo garantire un futuro al bambino, decide di lasciarlo alla famiglia paterna, ma la storia si complica quando il figlio, ormai adulto, cerca disperatamente la madre, mettendo a rischio il proprio matrimonio e le sue prospettive di vita borghese.
Deledda, attraverso una prosa ricca e evocativa, dipinge un affresco vividamente dettagliato di una società che giudica e punisce, creando un racconto che è sia un’indagine sociologica che una drammatica esplorazione del conflitto interiore. Il contrasto tra il desiderio individuale e le rigide norme sociali è palpabile, rendendo la vicenda non solo una riflessione sulle convenzioni del tempo, ma anche una critica alla loro rigidità.
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La forza del romanzo risiede nella sua capacità di mettere in luce l’inconciliabilità tra i legami di sangue e le aspettative sociali, mentre il ritratto della città e delle campagne circostanti fornisce uno sfondo suggestivo e autentico. La trama si sviluppa in un crescendo di tensione emotiva, mentre i protagonisti lottano con le loro scelte e le loro conseguenze.
Con Cenere, Grazia Deledda non solo arricchisce la sua bibliografia con una narrazione potente e commovente, ma offre anche una riflessione profonda sulla natura umana e le sue contraddizioni. Un romanzo che, sebbene risalente a più di un secolo fa, continua a parlare con forza e rilevanza ai lettori moderni.
Libri di Grazia Deledda
I libri di Grazia Deledda offrono una panoramica approfondita delle sue tematiche principali, come il conflitto tra tradizione e modernità. Opere come Cenere e Elias Portolu sono esempi significativi della sua abilità narrativa e della sua esplorazione della vita sarda.
Nel 1903, con la pubblicazione di Elias Portolu, Grazia Deledda consolidò la sua posizione come scrittrice e intraprese una serie di successi letterari che includevano romanzi e opere teatrali. Tra le sue opere successive si annoverano Cenere (1904), L’edera (1908), Sino al confine (1910), Colombi e sparvieri (1912), Canne al vento (1913), L’incendio nell’oliveto (1918) e Il Dio dei venti (1922).
Grazia Deledda Libri
Quando si parla di Grazia Deledda libri, ci si riferisce a una vasta gamma di romanzi che trattano temi complessi come il peccato, il senso di colpa e le sfide sociali. Ogni Grazia Deledda libro rappresenta un’importante tessera del mosaico della sua visione del mondo e della sua riflessione sulla società.
Dal romanzo Cenere fu adattato un film interpretato da Eleonora Duse. Tuttavia, è probabile che il romanzo Canne al vento sia stato quello che attirò l’attenzione dell’Accademia di Svezia, considerando che la prima candidatura al Nobel per Grazia Deledda risale al 1913. Carl Bildt, ambasciatore di Svezia a Roma e membro dell’Accademia, fu uno dei più ferventi sostenitori delle sue ripetute candidature. La prima proposta, tuttavia, venne da Karl August Hagberg, il traduttore di Deledda in svedese.
“I Buddenbrook di Thomas Mann non sono solo un affresco della decadenza borghese, ma anche una riflessione profonda sulla fragilità delle ambizioni familiari.”
Prima donna candidata al Parlamento italiano
Nel marzo del 1909, durante la presentazione delle liste per le elezioni alla XXIII legislatura del Regno d’Italia, Grazia Deledda fu candidata per il collegio di Nuoro alla Camera per il Partito Radicale Italiano. Questa fu la prima volta che una donna venne proposta per una candidatura parlamentare, nonostante il fatto che le donne in Italia non avessero ancora il diritto di voto, sebbene il tema fosse oggetto di crescente dibattito pubblico.
La candidatura di Deledda fu quindi vista come una provocazione a favore del suffragio femminile e contro il candidato “ministeriale”, l’avvocato di Orani Antonio Luigi Are. La sua candidatura suscitò polemiche non solo nella stampa locale, ma anche a livello nazionale. Ad esempio, su La Tribuna, Giuseppe Piazza esprimeva dubbi sulla preparazione della scrittrice per il ruolo, osservando che “invece di una preparazione adeguata per presiedere una Commissione di bilancio, ha speso la sua vita a scrivere romanzi e a avere figli… due attività, soprattutto l’ultima, che le avrebbero impedito di essere una femminista e una ‘deputata’”.
Il partito aveva scelto Deledda per la sua buona cultura, rispettabile posizione sociale e trasversalità nei consensi elettorali. Si ipotizza che, oltre al poeta Sebastiano Satta, anche ambienti di Roma, dove Deledda risiedeva da ormai 9 anni, avessero sostenuto la sua candidatura.
Alla fine delle elezioni, Deledda ottenne 34 voti, di cui 31 contestati; tuttavia, l’elezione fu vinta dall’avvocato Are, ma dovette essere ripetuta.
Grazia Deledda Nobel
Nel 1926, Grazia Deledda Nobel per la letteratura venne conferito come riconoscimento del suo straordinario contributo alla letteratura. Questo prestigioso premio evidenziò l’importanza e l’impatto delle sue opere, consolidando il suo posto nella storia della letteratura mondiale.
Il 10 dicembre 1927, Grazia Deledda ricevette il Premio Nobel per la Letteratura del 1926, riconosciuta “per la sua potente capacità di scrittura, supportata da un alto ideale, che rappresenta con forme plastiche la vita nella sua isola natale e affronta con profondità e calore temi di ampio interesse umano”. Deledda è stata la prima donna italiana a ottenere questo prestigioso riconoscimento.
Verismo
I primi lettori dei romanzi di Grazia Deledda tendevano a collocarla all’interno del movimento verista. Luigi Capuana la incoraggiava a continuare a esplorare il mondo sardo, definendolo «una miniera» in cui aveva già trovato «un elemento di forte originalità». Anche Borgese la descrisse come una “degna allieva di Giovanni Verga”. Nel 1891, Deledda scrisse al direttore della rivista romana La Nuova Antologia, Maggiorino Ferraris, che il suo libro appariva «drammatico e sentimentale, e anche un po’ veristico se per ‘verismo’ intendiamo rappresentare la vita e le persone come sono, o come le conosco io». Se hai voglia di approfondire un altro splendido romanzo storico leggi l’articolo su Anna Karenina, la Trama, i Personaggi e il Grande Amore
Differenze rispetto al Verismo
Ruggero Bonghi, manzoniano, fu tra i primi a cercare di distogliere l’attenzione dalla scrittrice sarda dalle poetiche naturalistiche. Tuttavia, recentemente, alcuni critici ritengono che Deledda fosse completamente estranea al naturalismo. Emilio Cecchi nel 1941 osservava che «ciò che Deledda poté trarre dalla vita della provincia sarda non riflette né naturalismo né verismo… Sia i temi che i materiali linguistici in lei si inclinano verso il lirismo e il fiabesco». Il critico Natalino Sapegno evidenziava che i motivi che allontanano Deledda dai canoni del verismo comprendono la sua natura intimamente lirica e autobiografica, per cui le rappresentazioni ambientali diventano trasfigurazioni di una memoria profonda e i personaggi riflettono una vita sognata. Secondo Sapegno, Deledda manca dell’atteggiamento distaccato caratteristico di Verga, Capuana, De Roberto, Pratesi e Zena.
Decadentismo
Vittorio Spinazzola scrive: «Tutta la migliore narrativa di Deledda esplora la crisi dell’esistenza. Storicamente, tale crisi emerge dalla fine dell’unità culturale ottocentesca, con la sua fiducia nel progresso storico, nelle scienze laiche e nelle garanzie giuridiche a difesa delle libertà civili. Da questo punto di vista, la scrittrice sembra perfettamente inserita nel contesto decadentistico. I suoi personaggi esprimono lo smarrimento delle coscienze turbate e confuse, in balia di opposti istinti e aperti a tutte le esperienze che la vita offre».
Grazia Deledda e i narratori russi
Nel corso della sua giovinezza, Grazia Deledda si rese conto della differenza tra la prosa artificiosa delle riviste di moda e il suo desiderio di utilizzare un registro più vicino alla realtà e alla sua società d’origine. Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, la Sardegna, simile all’Irlanda di Oscar Wilde, Joyce e Yeats o alla Polonia di Conrad, cercava un dialogo paritario con le grandi letterature europee, inclusa la letteratura russa.
Nicola Tanda, nel suo saggio La Sardegna di Canne al vento, osserva che in quest’opera le parole di Deledda evocano memorie di Tolstoj e Dostoevskij, un aspetto che si riflette nell’intera produzione narrativa della scrittrice. Tanda scrive che «l’intero romanzo è una celebrazione del libero arbitrio, della libertà di fare il male e di realizzare il bene, soprattutto quando si ha esperienza della grande capacità del male di suscitare angoscia».
Negli anni a cavallo tra Ottocento e Novecento, mentre cercava di definire il proprio stile, Deledda concentrò la sua attenzione su Tolstoj. In una lettera, comunicava il progetto di pubblicare una raccolta di novelle dedicata a Tolstoj, con una prefazione di un illustre scrittore russo che avrebbe confrontato i costumi sardi con quelli russi. La relazione di Deledda con i narratori russi non si limitava a Tolstoj, ma includeva anche Gor’kij, Anton Čechov, e i contemporanei passati più recenti come Gogol’, Dostoevskij e Turgenev.
La morte di Grazia Deledda
Un tumore, di cui Grazia Deledda soffriva da tempo, la condusse alla morte nel 1936, quasi dieci anni dopo aver ricevuto il Premio Nobel. La data esatta del decesso è controversa: alcune fonti indicano il 15 agosto, mentre altre il 16.
Le sue spoglie furono inizialmente sepolte nel cimitero del Verano a Roma. Tuttavia, nel 1959, su richiesta dei familiari, furono trasferite nella sua città natale. Da allora, sono conservate in un sarcofago di granito nero levigato nella chiesetta della Madonna della Solitudine, ai piedi del monte Ortobene, un luogo che aveva descritto con entusiasmo in uno dei suoi ultimi lavori. Il trasferimento e la sistemazione della tomba furono finanziati dallo stato italiano, che promulgò la legge del 5 gennaio 1953.
Deledda lasciò incompiuta la sua ultima opera, Cosima, un lavoro autobiografico, che fu pubblicato postumo nel settembre dello stesso anno sulla rivista Nuova Antologia, curato da Antonio Baldini, e successivamente edito con il titolo Cosima.
La casa natale di Grazia Deledda, situata nel centro storico di Nuoro (nel rione Santu Predu), è oggi un museo dedicato alla sua memoria.