Il conte di Montecristo il libro. Alexandre Dumas cattura i lettori di oggi come di ieri e li tiene incollati a un classico della letteratura emozionante, con avvelenamenti e rapimenti, scambi di identità e tesori sepolti e ritrovati.
“Il conte di Montecristo il libro” è uno dei romanzi più avvincenti mai scritti. Riesce a inscatolare nello stesso romanzo tre situazioni capaci di torcere le viscere anche di un boia in un colpo (o in una raffica di colpi, in una cannonata a lungo raggio). Umberto Eco
Quattordici anni di carcere per immaginare la propria vendetta, dieci anni per attuarla: Edmond Dantès è disposto a tutto pur di vendicarsi di chi lo ha ingiustamente accusato, condannandolo al carcere e facendogli perdere reputazione, famiglia, e successo.
Dantès adotta il titolo e la falsa identità di Conte di Montecristo dopo un’avventurosa fuga dal castello di If; escogita trucchi audaci e molteplici travestimenti per annientare i suoi avversari, in un delirio di onnipotenza che culminerà in un drammatico confronto con la coscienza e il perdono.
Brevi cenni
Il conte di Monte Cristo , il libro (Le Comte de Monte-Cristo) è un romanzo scritto da Alexandre Dumas in collaborazione con Auguste Maquet che iniziò la pubblicazione in serie nel 1844.
È in parte basato su fatti veri tratti dalla biografia di Pierre Picaud. Il libro racconta come, il 24 febbraio 1815, il giorno in cui Napoleone Bonaparte lascia l’isola d’Elba, Edmond Dantès, giovane marinaio diciannovenne, primo ufficiale a bordo della nave mercantile Le Pharaon, sbarca a Marsiglia per sposare Mercedes, una bella donna catalana, il giorno dopo.
Tradito da amici invidiosi, viene accusato di essere un cospiratore “bonapartista” e imprigionato nel castello d’If, al largo di Marsiglia. Dantès riesce a fuggire dopo quattordici anni di reclusione, prima ridotto alla solitudine e alla più oscura disperazione, poi rigenerato e segretamente educato da un compagno di prigionia, l’abate Faria, che prima di morire rivela l’esistenza di un tesoro nascosto nell’isola di Montecristo.
Dantès, ora ricco e potente, si traveste da diversi personaggi, tra cui l’abate Busoni, Lord Wilmore e, infine, il conte di Montecristo. Attraverso queste tre identità, il protagonista consuma metodicamente la propria vendetta, ripagando i suoi nemici – coloro che lo hanno ingiustamente accusato e imprigionato – con la propria moneta, intromettendosi nelle loro vite, fingendosi amici e distruggendoli dall’interno, in una maniera che ricorda della rappresaglia dantesca. Mentre promette felicità e libertà a coloro che gli sono rimasti fedeli. [1]
Questo romanzo, Il conte di Montecristo il libro, insieme a I tre moschettieri, è una delle due opere più famose di Dumas in Francia, Italia e nel mondo. Fu pubblicato per la prima volta in feuilleton nel Journal des débats dal 28 agosto al 19 ottobre 1844 (1a parte), dal 31 ottobre al 26 novembre 1844 (2a parte) e poi dal 20 giugno 1845 al 15 gennaio 1846.
La storia è ambientata in Italia, Francia e alcune isole del Mar Mediterraneo tra il 1815 e il 1838 (dall’inizio del regno di Luigi XVIII di Borbone al regno di Luigi Filippo d’Orléans). Un romanzo dal forte valore emotivo oltre che un affresco della storia francese ed europea dell’Ottocento, non ha mai smesso di affascinare e affascinare i lettori negli ultimi 170 anni.
La trama
Il complotto e l’inganno
Marsiglia nell’anno della Restaurazione Borbonica, 1815. Edmond Dantès è un giovane marinaio mercantile Faraone che sarà promosso capitano e sposerà la sua amata fidanzata Mercédès. Danglars, scrittore della nave e ambizione di lunga data per il capitano, organizza una trappola per coinvolgere Edmond e quindi rubare la sua amata promozione.
Ho scritto un interessante articolo sul: Il deserto dei tartari di Dino Buzzati
Danglars, con l’aiuto di Fernand Mondego (cugino di Mercédès e pubblicamente innamorato di lei, ma rifiutato) e Gaspard Caderousse (vicino invidioso di Dantès), crea una lettera anonima in cui accusa Edmond di essere una spia bonapartista. Gérard de Villefort, vice procuratore e magistrato pubblico del re, riceve la lettera.
Quest’ultimo, desideroso di dimostrarsi degno di entrare a far parte della ricca famiglia dei marchesi di Saint-Méran (promonarchici) per sposare la figlia Renée proteggendo anche il padre (attivo bonapartista), mostra una particolare inflessibilità nei confronti di Dantès (nonostante consapevole della sua innocenza ed estraneità alle accuse) ed emette nei suoi confronti un mandato di cattura.
La prigione
A sinistra una veduta della prigione-fortezza detta Castello d’If, a destra la facciata della prigione.
Edmond Dantès viene arrestato e condotto durante la notte al carcere di Castello d’If, dove viene condannato all’ergastolo per la natura del reato a lui imputato. Proprio mentre i suoi sogni di essere di nuovo libero svaniscono, incontra un altro prigioniero, l’abate Faria , che da anni scava un tunnel sotterraneo nella speranza di condurlo fuori dalla fortezza.
Edmond sceglie di assistere l’anziano, che, a sua volta, assiste Dantès nel far luce sugli eventi che hanno portato alla sua prigionia. Edmond giura vendetta su tutti coloro che lo hanno incastrato dopo aver scoperto di essere stato vittima di un piano. In attesa che il suo progetto si realizzi, viene formato da Faria in svariati campi che vanno dall’economia alla matematica, dalle lingue straniere alla filosofia, almeno fino a quando l’anziano abate viene colpito da una serie di attacchi di apoplessia che lo portano alla morte .
Potrebbe sicuramente interessarti anche il Fabbricante di lacrime, la trama e la mia recensione
Tuttavia, prima di morire e di venire a conoscenza delle nobili intenzioni di Dantès, gli rivela l’esatta ubicazione di un tesoro nascosto nell’isola di Montecristo. Dantès vede la morte di Faria come l’unica occasione tangibile per fuggire, così lo mette dentro il sacco in cui è stato deposto l’anziano per la sepoltura. Dantès scappa in salvo sull’isola di Tiboulen dopo essere stato gettato in mare (il “cimitero” del castello d’If).
La vendetta
L’isola di Montecristo vista da nord.
Dantès, finalmente libero dopo 14 anni di carcere e in possesso di un’enorme fortuna grazie alla scoperta del prezioso tesoro suggeritogli da Faria, crea una nuova identità e torna a Marsiglia per portare a termine il piano di vendetta come Conte di Montecristo .
Qui assume una varietà di identità, tra cui quella dell’abate Busoni, con il quale visita Caderousse e viene a conoscenza della trama, della morte di suo padre, del destino della sua amata Mercédès e degli eventi degli altri cospiratori, oltre a quelli di il nobile inglese Lord Wilmore e il marinaio Sinbad, attraverso il quale compie buone azioni per coloro che gli sono sempre stati fedeli.
Tuttavia, è solo 10 anni dopo il suo ritorno a Marsiglia che Dantès decide di attuare concretamente il regolamento dei conti, e così Fernand Mondego (che, divenuto conte de Morcerf grazie alla ricchezza accumulata come coscritto, era riuscito a sposare Mercédès ) è processato per aver tradito il Pascià Ali-Tebelen mentre era funzionario in Grecia.
Indignati dal suo comportamento, sua moglie e suo figlio decidono Gérard de Villefort, che, pur conoscendo l’innocenza di Dantès e avendo i mezzi per scagionarlo, ha scelto di tenerlo in prigione per proteggere la sua posizione sociale e carriera politica, è impazzito da una catena di avvelenamenti di cui i suoi familiari diventano vittime, nonché della scoperta della vera identità del conte.
Un altro libro che ho trovato molto interessante è Il Portiere di Giuseppe Tecce
Caderousse, che si è trasformato in un criminale affamato di denaro, viene assassinato dal suo complice. Infine, Danglars, che è diventato il banchiere più ricco di Parigi (dopo aver abbandonato la sua posizione di capitano della nave Pharaon), viene spinto al collasso finanziario e poi rapito e imprigionato, costretto a spendere ciò che restava dei suoi soldi per sfamarsi. Solo a questo punto il conte di Montecristo gli rivela la sua vera identità e, di fronte al sincero pentimento di Danglars, lo perdona.
Personaggi
Edmond Dantès e i suoi tanti travestimenti
Edmond Dantès è il protagonista del romanzo. È un marinaio esperto e il futuro capitano della nave mercantile Pharaon, nonché fidanzato della Mercédès catalana. Durante l’ultimo viaggio la nave fa scalo all’Isola d’Elba per consegnare un pacco al Gran Maresciallo Bertrand (l’uomo fidato di Napoleone, quest’ultimo in procinto di fuggire all’Isola d’Elba per reclamare il potere in Francia, i famosi “Cento giorni” ), esaurendo così gli ultimi desideri del capitano Leclerc, e in cambio riceve una lettera riservata da consegnare a un uomo a Parigi.
Nessuno sa cosa dice la lettera, ma l’incontro con l’ufficiale di Napoleone permette al geloso Danglars di accusare Dantès di essere un agente bonapartista per deporlo a lungo e prenderne il posto di capitano della nave.
Un incredibile libro che ho letto da poco sulla resistenza francese all’invasione nazista è Il profumo segreto della lavanda
Edmond viene così catturato e mandato in una prigione-fortezza (il Castello di If), dove avrebbe dovuto trascorrere tutta la sua vita ma riesce a scappare. Dopo anni di carcere diventa Conte di Montecristo, nome derivato da un’isola di cui divenne proprietario dopo aver scoperto il tesoro menzionato dall’abate Faria durante la sua reclusione.
La reclusione di 14 anni di Dantès lo ha alterato fisicamente, dandogli energia fisica e un aspetto da “vampiro”, e mentalmente, dandogli una conoscenza di straordinaria profondità e ampiezza. Il passaggio più significativo, tuttavia, è psicologico: da giovane idealista a uomo ossessionato dalla vendetta contro coloro che lo hanno abbattuto e contro i quali colpirà usando l’identità del conte di Montecristo e molte altre identità.
Signor Zaccone, conte di Montecristo
Signor Zaccone, conte di Montecristo – La persona che Edmond si traveste per vendicarsi è un nobile italiano la cui ricchezza è eguagliata solo dall’atmosfera di mistero che lo circonda, poiché il tesoro scoperto ha un valore incalcolabile.
Secondo il passato che Edmond ha creato per il suo alter ego, il signor Zaccone è figlio di un ricco armatore maltese che vive nella comodità di una grande rendita e ha ottenuto il titolo di “conte”, insieme all’isola di Montecristo, per piacere .
Avrebbe combattuto in marina e poi si sarebbe dedicato a notevoli attività di beneficenza, facendo leva sulla sua immensa ricchezza.
Il Conte si presenta come persona gentile ed educata, anche se restio a dare confidenze eccessive e ha una flemma imperturbabile anche nelle situazioni peggiori; ha una conoscenza immensa in ogni ambito del sapere umano: ad esempio, è un esperto chimico oltre che un medico di talento, un eccellente combattente e spadaccino, ha girato il mondo, è amante delle comodità più raffinate, ed è capace di sorprendente con la sua eloquenza e stravaganza.
Lord Wilmore
Edmond interpreta Lord Wilmore, un aristocratico inglese che compie buone azioni e atti di compassione. Questa figura è diametralmente opposta al conte di Montecristo e il romanzo implica che i due siano rivali, come sostiene Lord Wilmore.
Sindbad il marinaio
Edmond utilizzerà Sindbad il marinaio per salvare la famiglia Morrel dalla bancarotta.
Abate Giacomo Busoni
Abate Giacomo Busoni – Abate siciliano, alias Edmond assume in varie situazioni per la presunta autorità ecclesiastica.
I fedeli servitori del conte
Giovanni Bertuccio
Giovanni Bertuccio – Intendente e braccio destro del Conte, elogiato da quest’ultimo per la sua capacità di eseguire nel migliore dei modi ogni ordine che gli riesce. Bertuccio aveva giurato vendetta su Gérard de Villefort per non aver avviato un’indagine sull’omicidio di suo fratello ancor prima di incontrare il conte.
Rintraccia Villefort fino ad Auteuil, dove incontrava la sua amante Hermine Danglars, e lo accoltella mentre il magistrato è in giardino a seppellire una scatola. Bertuccio è incuriosito dall’oggetto e scopre che contiene un neonato apparentemente morto (figlio illegittimo di Villefort, appena partorito da Hermine Danglars).
L’uomo lo fa rivivere e lo porta in Corsica, dove lo alleva sotto il nome di Benedetto con l’aiuto della cognata.
Haydée
Haydée è una principessa greco/albanese che Edmond salva dalla schiavitù e diventa la sua futura moglie alla fine della vendetta del conte. Haydée era figlia di Al-Tebelen, Pascià di Giannina.
Suo padre fu deposto dal micidiale nemico generale Kourchid mentre lei era molto giovane, grazie alla defezione di un ufficiale francese in cui il Pascià aveva riposto una notevole fiducia: Fernand Mondego. Viene venduta come schiava insieme a sua madre e, dopo la morte di sua madre, viene acquistata dal suo conte al mercato degli schiavi di Costantinopoli.
Nonostante l’abbia comprata come schiava, il Conte la tratta con il massimo rispetto, provvede ad ogni suo bisogno, e non se ne approfitta in alcun modo. Questo instilla in Haydée una forte gratitudine per lei, che si è rapidamente trasformata in amore. La considera troppo giovane per lui, però, e non vuole negarle la prospettiva di una vita felice.
Rivelerà la sua vera identità e presenterà le prove per far condannare Fernand Mondego durante il suo processo. Alla fine del romanzo, Edmond si rende conto che la donna lo ama e decide di partire con lei per iniziare una nuova vita, si spera felice.
Ali
Ali è il fedele servitore del Conte di Montecristo. È assordante assordante assordante assordante assordante assordante assordante assordante assordante assordante assordante assordante assordante assordante assordante assordante assordante assordante assordante assordantemente servo. Ali è un eccellente cavaliere.
Baptistin e Jacopo
Baptistin è il servitore di un conte. Edmond incontra Jacopo a bordo della genovese Tartana Young Amelia, che lo salva durante la sua fuga dal Castello di If. Diventa quindi il capitano dello yacht del conte.
la famiglia Morcerf
Morcerf Mercédès Herrera Mondego
All’inizio dell’opera, la famiglia Morcerf Mercédès Herrera Mondego, la fidanzata di Edmond. Quando si presume che Edmond sia morto in prigione, sposa suo cugino Fernand. Non ama Fernand, ma lo considera un amico fidato.
È l’unica persona che vede il conte di Montecristo. Edmond Dantès, l’amante del passato Ritorna a un’esistenza solitaria a Marsiglia nella casa del vecchio padre di Edmond Dantès, donatale da quest’ultimo, dopo la rovina del marito, dal quale rifiuta l’eredità (preferendo in beneficenza).
Fernand Mondego
Fernand Mondego, noto anche come Conte de Morcerf, era un nobile francese. È follemente innamorato di Mercédès e farebbe di tutto per conquistarla. In realtà, trama l’accusa contro Edmond con l’aiuto di Danglars. Dantès viene imprigionato dopo di che va a combattere come coscritto, guadagnando denaro e fama durante le sue campagne militari.
Si sposa con Mercédès dopo essere tornato in Francia con il titolo di conte. Dopo essere diventato membro della Camera dei Pari, la sua vita è devastata dal processo in cui viene condannato per tradimento mentre prestava servizio come funzionario in Grecia per il Pascià Ali-Tebelen, anche grazie alla testimonianza cruciale della figlia Haydée. Si suicida con un proiettile dopo aver scoperto che sua moglie e suo figlio lo hanno abbandonato.
Albert de Morcerf
Albert de Morcerf è il figlio di Mercédès e Fernand de Morcerf. Durante il carnevale incontra il Conte a Roma (mentre in compagnia di Franz d’Epinay). Qui vive la prova di essere rapito e imprigionato dal bandito Luigi Vampa.
Il conte di Montecristo lo rilascia a causa della fedeltà e della stima di Vampa per lui. Tornato in Francia, suo padre fa in modo che Albert sposi la giovane Eugenie Danglars, che disprezza. Quando il barone Danglars scopre il tradimento di Giannina da parte di Fernand, annulla il matrimonio, scegliendo di sposare sua figlia con Andrea Cavalcanti.
Albert diventa un caro amico di Dantès, almeno fino a quando Edmond non distrugge il padre Fernand: a quel punto, sfida pubblicamente il Conte a duello, solo per pentirsi pubblicamente di lui, grazie alle ammissioni della madre sulla vera identità del Conte e sulla legittima ragioni del suo comportamento. Albert abbandona la madre Mercédès alla fine del romanzo e si reca in Africa come soldato negli Spahis per iniziare una nuova vita con il cognome materno Herrera.
La famiglia Danglars
Il barone Danglars
Il barone Danglars e la sua famiglia Inizialmente è lo scriba a bordo della nave mercantile Pharaon, dove lavora Edmond, ed è geloso perché l’armatore, Pierre Morrel, vuole nominarlo capitano, posizione a cui aspirava. Dantès viene promosso capitano del Pharaon dopo essere stato incastrato con l’accusa di essere un bonapartista.
Quindi lascia il ruolo e si trasferisce in Spagna, dove lavora come impiegato per un banchiere. Diventa milionario qui a seguito di una serie di speculazioni e investimenti (in cui esibisce un talento senza rivali). Dopo aver ottenuto il titolo di barone, torna in Francia e diventa rapidamente il banchiere più ricco di Parigi.
Incontra il conte di Montecristo, che lo porta alla rovina finanziaria prima di rapirlo e imprigionarlo; solo quando è costretto a sperperare il denaro che gli è rimasto per sfamarsi, il conte di Montecristo gli rivela la sua vera identità e, di fronte al genuino pentimento di Danglars, gli concede il perdono e gli restituisce la libertà.
Hermine Danglars
Hermine Danglars è la moglie del barone Danglars. Mentre il suo primo marito (il barone Louis de Nargonne) era assente, ebbe una relazione con Gérard de Villefort, dal quale ebbe il figlio Benedetto, che si credeva morto al parto ma fu salvato e nutrito da Bertuccio.
Nel frattempo, è ancora vedova prima della nascita di suo figlio. Era già ricca prima di sposare il barone Danglars, e con l’aiuto di Lucien Debray (amico e amante che lavora al ministero dell’Interno), riesce a risparmiare un milione di franchi investendo i soldi del marito.
Eugenie Danglar
Eugenie Danglars – Figlia dei Danglars, con l’anima di un artista, suo padre la costringe a fidanzarsi prima con Albert de Morcerf e poi con Andrea Cavalcanti per salvare la famiglia dalla rovina finanziaria. Non le ama, tuttavia, preferendo chiaramente le donne e desiderando vivere libere dagli obblighi matrimoniali. Infine, lei f
si ritrova a casa con la fidanzata Louise D’Armilly, approfittando del caos causato dalla fuga del presunto Andrea Cavalcanti, smascherato lo stesso giorno in cui i due avrebbero dovuto firmare il contratto di matrimonio. Verrà portata a casa quasi immediatamente, con grande dispiacere degli ospiti del motel.
La famiglia Villefort
Gérard de Villefort
Gérard de Villefort era il vice procuratore del re e, in seguito, il suo procuratore. Viene a rinnegare il padre (e mutare il cognome in Villefort) per assicurarsi la fedeltà alla monarchia ed entrare così nelle grazie del re e di tutto l’entourage monarchico, compresa la famiglia Saint-Méran (importante e nobile famiglia dalla quale desidera sposare la giovane discendente Renée).
È anche il responsabile materiale dell’incarcerazione di Edmond: pur ammettendo la sua innocenza, Villefort è costretto a incastrarlo per salvare la sua posizione e la vita di suo padre; Dantès, infatti, fu l’unico testimone di una lettera indirizzata al signor Noirtier in cui si annunciava l’imminente ritorno di Napoleone (e quindi il suo legame indiscusso e attivo con l’usurpatore, nome con cui i filomonarchici chiamavano Napoleone).
Villefort sposa Héloise, madre del figlio Édouard, in onore della moglie Renée (dalla quale ha avuto una figlia, Valentine). Ha anche una relazione con Hermine Danglars (sebbene fosse sposata con un certo barone de Nargonne all’epoca della vicenda), dalla quale nasce il figlio illegittimo Benedetto (che, creduto morto, sarà sepolto nell’orto).
Quando Villefort scopre che la sua seconda moglie, Héloise, avvelena gli eredi della fortuna di famiglia in modo che il loro figlio Édouard diventi erede universale (non solo dal padre, ma anche dalla sua sorellastra), la costringe al suicidio, ma lei decide di portare con te anche tuo figlio.
Queste due perdite, insieme alla morte della figlia maggiore Valentine, faranno impazzire Villefort, così come la consapevolezza che il figlio illegittimo (Benedetto) è un assassino e che Edmond Dantès si nasconde dietro l’identità del conte di Montecristo.
Valentine de Villefort
Valentine de Villefort è la figlia di Gérard e Renée de Saint-Méran. È innamorata di Maximilien Morrel e, per volontà di suo padre, è promessa al barone Franz d’Epinay; vive isolata dal resto della famiglia, tra l’indifferenza del padre e l’odio della matrigna Héloise, quest’ultima invidiosa dell’enorme patrimonio che la ragazza avrebbe ereditato (a danno del figlio Édouard).
Suo nonno Noirtier, che è muto e paralizzato e comunica con la nipote solo attraverso i suoi occhi, è il suo unico vero affetto familiare. È il nonno che fa di tutto per impedire alla nipote di sposare d’Epinay: nel suo testamento stipula che se questa unione avviene, Valentino sarà diseredato.
Poi, poiché suo figlio Gérard insiste per sposarsi, rivela di essere l’uomo che ha ucciso il padre di Franz in un leale duello, e il giovane d’Epinay infrange il contratto matrimoniale. Valentine, l’unico erede della famiglia dopo gli omicidi dei marchesi di Saint-Méran, viene avvelenato dalla sua matrigna, Héloise.
Tuttavia, grazie a Noirtier (che la abitua al veleno somministrandole un po’ della stessa sostanza mortale da lui assunta) e al Conte di Montecristo (che più volte sostituisce le bevande velenose con sostanze innocue), l’attacco non è fatale, nonostante la costringa a letto.
Dopo aver rivelato l’identità del suo assassino, il conte di Montecristo dà alla giovane donna un misto di lei che la fa cadere in coma, facendo credere a tutti che sia morta in modo che possa salvarla dalla sua matrigna. Il conte di Montecristo il libro. Dopo il suo finto funerale, il suo conte la trasporterà sull’isola di Montecristo, dove attenderà l’arrivo del suo amato Maximilien Morrel, che potrà finalmente sposare.
Noirtier de Villefort
Noirtier de Villefort – Padre di Gérard e nonno di Valentino: ex membro del governo napoleonico e attivo bonapartista durante la rivoluzione, uccide il generale d’Epinay. Ritorna alla corte di Napoleone durante i Cento giorni.
Dopo aver subito un ictus, diventa assordantemente assordantemente assordantemente assordantemente sugli assordanti morbidi assordantemente assordantemente sugli assordanti morbidi assordanti per evitare di essere costretto a sposare Franz d’Epinay,
Valentine scrive una volontà in cui lascia la sua possesso al povero mentre si sente per disimentare se lei si sposa. il barone. Il conte di Montecristo il libro. Poiché suo figlio Gérard continua a voler sposare Valentine con Franz, Noirtier rivela di aver ucciso il padre del giovane, il generale Flaviano Quesnel d’Epinay, in un duello, rompendo il contratto di matrimonio.
Sfugge per caso al progetto di avvelenamento di Héloise (a causa del suo medico, monsieur d’Avrigny, che gli fa assumere un po’ di veleno ogni giorno per combattere la malattia) e, realizzando il piano della donna, riesce a salvare Valentine dal prossimo attentato abituandosi lei a piccole dosi giornaliere del veleno.
Héloise de Villefort
Héloise de Villefort. Si preoccupa solo di proteggere suo figlio Édouard e di assicurargli una grande eredità. Valentine, l’erede della sua fortuna di famiglia, è qualcuno che disprezza. Per evitare ciò, escogita un piano subdolo: avvelena i due marchesi di Saint-Méran, lasciando la giovane come unica erede; poi cerca, senza successo, di fare lo stesso con il vecchio Noirtier e la stessa Valentine.
Il marito, convinto di averla uccisa, la scopre e la costringe a scegliere tra un processo pubblico e la forca (insieme all’umiliazione e al disonore che sarebbero caduti sulla famiglia) e il suicidio con il suo terribile veleno. Héloise decide di suicidarsi, portando con sé il suo amato figlio Édouard.
Édouard de Villefort
Édouard de Villefort – Unico figlio legittimo di Villefort, viene avvelenato dalla madre quando lei, scoperta dal marito colpevole di quattro omicidi, è costretta a suicidarsi.
Benedetto alias Andrea Cavalcanti
Benedetto alias Andrea Cavalcanti – Figlio illegittimo di Villefort ed Hermine Danglars. Salvato da Bertuccio, viene allevato dal corso e dalla cognata Assunta. Malvagio e avido fin da giovane, tortura la madre adottiva con due amiche per ottenere del denaro: nel tumulto, la casa prende fuoco, ei tre giovani fuggono con il denaro, lasciando la donna a morire tra le fiamme.
Vive una vita criminale finché non finisce nella stessa cella di Gaspard Caderousse (alla prigione di Tolone). I due fuggono grazie all’intervento di Lord Wilmore/Edmond Dantès. Benedetto torna a Parigi come Andrea Cavalcanti, credendo che il suo vero padre sia il conte di Montecristo, che lo fece riconoscere dal maggiore Cavalcanti e che conserva.
Durante questo periodo incontra Eugenie Danglars e instaura buoni rapporti con suo padre, convincendolo a sposargli sua figlia; è lo stesso Conte di Montecristo che loda le ricchezze e la nobile discendenza del Conte (poi detto anche Principe) Andrea.
Nel frattempo, Caderousse scopre la verità e lo ricatta; tuttavia, l’ex compagno di cella è insoddisfatto di ciò che gli viene offerto e si fa descrivere la villa di Montecristo per rapinarla. Andrea/Benedetto invia quindi al Conte un messaggio anonimo per avvertirlo.
Poi, la notte del furto, si nasconde fuori casa e pugnala a morte Caderousse quando esce, risparmiato da Edmond. I gendarmi arrivano per arrestarlo il giorno del suo matrimonio con Eugenie Danglars. Fugge, ma il suo volo dura solo un giorno. Bertuccio gli rivela in carcere l’identità del suo vero padre (Gérard de Villefort), che denuncia pubblicamente durante il processo, sconvolgendo il pubblico ministero.
La famiglia Morrel e dipendenti
Pierre Morrel
Pierre Morrel – Proprietario della nave mercantile Pharaon, su cui Edmond era il secondo comandante all’inizio del romanzo. Si fida di Edmond e si offre di diventare capitano della nave. È un uomo d’affari molto onesto. Dopo che Edmond viene arrestato, fa ogni sforzo per assisterlo, ma come il giovane accusato di bonapartismo, il compito diventa impossibile.
Dal 1825 al 1830 subì perdite significative fino al fallimento, e fu solo grazie a Sinbad il marinaio (o Edmond Dantès) che la sua situazione finanziaria migliorò.
Maximilien Morrel
Maximilien incontra il conte di Montecristo a colazione a casa di un comune amico, Albert de Morcerf. Riconoscendo in lui l’onestà del suo ex proprietario, il Conte si affeziona a lui come se fosse suo figlio. Valentine de Villefort ricambia i sentimenti del giovane Morrel, ma i due devono incontrarsi in segreto perché lei è la giovane donna promessa a Franz d’Epinay.
Quando Valentine muore, Maximilien, come tutti gli altri, cade nella disperazione e decide di suicidarsi; tuttavia, il Conte (di cui si fidava ciecamente) lo convince a cambiare idea, promettendogli di aiutarlo se accetta di posticipare di un mese la sua morte. Al termine del limite dell’incontro, Edmond incontra il suo amante Valentino sull’isola di Montecristo, che ora potrà sposare. Il conte di Montecristo il libro.
Julie Herbault
Julie Herbault – La figlia di Pierre, sposata con Emmanuel Herbault.
Emmanuel Herbault
Emmanuel Herbault – Il marito di Julie; per molti anni è stato contabile presso Morrel & Son; è il genero di Pierre e il cognato di Maximilien.
Coclite
Coclite – Leale e coscienzioso venditore di Morrel e figlio.
Marchesi di Saint-Méran
Marchesi di Saint-Méran – I genitori di Renée, monarchici leali contrari ai bonapartisti e non disposti a mescolare la loro nobiltà con persone di altre classi sociali. Sposano la loro figlia Renée con Gérard de Villefort, e poi tentano di sposare il loro unico erede, Valentine, con il nobile barone Franz d’Epinay. Madame Villefort avvelena a morte entrambi i marchesi per fare di Valentine l’unico erede della sua proprietà.
Renée de Saint-Méran
Renée de Saint-Méran – Marchese di Saint-figlia e unica erede di Méran, sposa Gérard de Villefort: il matrimonio è coronato dalla nascita di San Valentino, ma Renée muore pochi anni dopo.
Altri personaggi significativi
L’abate Faria
Il conte di Montecristo il libro. L’abate Faria nel castello di If, come illustrato da Paolo Gavarni nell’edizione del 1846 del romanzo.
Faria – Abate [2], studioso italiano, fu segretario del conte Spada e precettore dei suoi figli in gioventù; fu durante questo periodo che venne a conoscenza del vasto tesoro della famiglia Spada.
Nel 1811 fu catturato e condotto al Castello di If, dove era conosciuto solo come “prigioniero numero 27”; non rassegnato, iniziò a costruire un tunnel che portava fuori dalla prigione, permettendogli di scappare nuotando in una delle isole circostanti.
Il conte di Montecristo il libro. Purtroppo i calcoli non sono corretti e Faria si ritrova nella cella di Edmond Dantès, con cui fa amicizia. Diventa padre di Edmond, insegnandogli lingue e scienze e rivelando l’ubicazione delle ricchezze segrete sull’isola di Montecristo. Muore nella sua cella a causa di un fatale attacco di apoplessia. Edmond fugge di prigione resuscitando il suo cadavere.
Luigi Vampa
Luigi Vampa – Un bandito italiano e amico del conte di Montecristo, che aiuterà quest’ultimo nel suo complotto di vendetta. Nato in una famiglia di pastori, dimostra subito una genialità straordinaria, al punto che il conte della zona si prende cura di lui e gli insegna a leggere e scrivere.
Inizia anche a intagliare piccoli oggetti per venditori di giocattoli, con il ricavato che va alla sua cara amica, la contadina Teresa, che è l’unica che può tenere a bada lo spirito ardente e burbero del giovane. All’età di diciassette anni Luigi Vampa era conosciuto come il miglior contadino del quartiere, oltre che un abile tiratore scelto con il suo fucile.
Nello stesso periodo una banda di briganti si nascose sui monti vicini, guidata dal famoso Cucumetto, tanto audace quanto brutale; un giorno, soli, Teresa e Luigi salvano la vita del capo bandito nascondendolo ai gendarmi.
Vampa incontra Sinbad il marinaio (Edmond Dantès) un giorno dopo essersi perso e essersi fermato a chiedere indicazioni. Vampa torna nella posizione di Teresa e scopre di essere stata rapita; vedendo il rapitore, lo uccide con un fucile; era Cucumetto, che si era innamorato della giovane dal primo momento in cui l’aveva vista.
Vampa poi prende con sé Teresa e si unisce ai banditi, diventandone il capitano: il brigantaggio permetterà a Luigi di promettere a Teresa, invidiosa della bella vita dei nobili della zona, una vita sontuosa, anche se rischiosa. Il Conte di Montecristo ha l’opportunità di assisterlo in numerose situazioni, cosa che gli permette di ricevere sincera gratitudine dal rapinatore, che si mette completamente a sua disposizione.
Rapisce Albert de Morcerf durante il carnevale romano, ma quando scopre di essere amico del conte, lo libera all’istante. Allo stesso modo, rapisce, questa volta su ordine di Dantès, il banchiere Danglars quando si reca a Roma per riscuotere il credito, e lo rilascia solo dopo che il piano di vendetta di Edmond è giunto al termine.
Caderousse e sua moglie Carconta ricevono il diamante dall’abate Busoni. L’illustrazione di Tony Johannot è apparsa nell’edizione del 1846 del romanzo.
Gaspard Caderousse
Gaspard Caderousse, un sarto e vicino di casa del padre di Edmond, prende parte al piano per incastrare Dantès – ubriaco e quasi inconsapevolmente. Gestisce un albergo a Ponte di Gard e lavora con i contrabbandieri dopo aver fallito come sarto.
Caderousse è il primo dei vecchi “conoscenti” di Dantès ad essere rintracciato e contattato dopo la sua fuga dal carcere. Dantès si traveste da abate Busoni e gli si avvicina. L’abate gli racconta come il giovane Dantès (il suo confessore prima della sua “morte prematura”) gli affidò il compito di scoprire la verità sulla sua ingiusta prigionia e di dividere il valore di un grande diamante del valore di cinquantamila franchi (che aveva con sé) tra i solo le persone che lo amavano veramente: suo padre, la fidanzata e tre migliori amici (Danglars, Fernand e lo stesso Caderousse).
Il vecchio Gaspard continua poi a raccontare quanto accaduto all’epoca dell’arresto di Dantès, nonché le successive vicende dei singoli, sottolineando come solo lui fosse genuinamente amico di Edmond e, certamente, l’unico ad aver bisogno del diamante (gli altri avendo diventare molto ricco). L’abate/Dantès sceglie quindi di consegnare il diamante totalmente a Caderousse.
Ma il desiderio di lui e della moglie Carconta è insaziabile e porterà all’omicidio del gioielliere a cui avevano venduto la gemma, così da tenere per sé non solo il denaro corrispondente al valore del diamante, ma anche il pietra inestimabile.
Caderousse viene imprigionato per complicità con la moglie, che viene dichiarata materialmente colpevole dell’omicidio, dopo essere stata arrestata molto tempo dopo. Caderousse diventa un criminale dopo essere stato liberato da Lord Wilmore (Dantès), che voleva scappare dal suo compagno di cella (Benedetto, figlio di Gérard de Villefort e Madame Danglars).
A Parigi conosce Benedetto, allora conosciuto come Andrea Cavalcanti, e lo ricatta in cambio del suo silenzio: ma i soldi finiscono presto, così decide di compiere una rapina nella villa del conte di Montecristo. Dantès, invece, viene ammonito da Andrea (tramite biglietto “anonimo”); così, travestito da abate Busoni, lo coglie sul fatto e poi lo lascia scappare, sapendo che Benedetto sta aspettando fuori, pronto a accoltellarlo. Le grida di Caderousse ricordano a Dantès Edmond: durante la sofferenza,
Dantès lo convince a firmare la denuncia contro Benedetto e realizza la sua sincera contrizione presentandosi a lui come Edmond Dantès. Questo personaggio differisce dagli altri cospiratori in quanto vi si è impegnato inconsapevolmente (era ubriaco), ma è troppo codardo per rivelare la verità. Edmond gli offrirà molteplici possibilità di espiare le sue colpe, ma lui, mal consigliato e portato avanti da avidità, pigrizia e orgoglio, continua a sbagliare.
Personaggi minori
Louis Dantès
Il padre di Edmond, Louis Dantès, adora suo figlio. Edmond rimane senza soldi durante la sua prigionia, ma l’orgoglio lo costringe a morire di fame piuttosto che chiedere aiuto, il che avrebbe rivelato la sua povertà.
Il barone Franz Quesnel d’Epinay
Il barone Franz Quesnel d’Epinay – Grande amico di Albert de Morcerf e figlio del generale d’Epinay (ucciso in un duello nel 1815 da Noirtier de Villefort). Incontra Dantès sotto l’identità del marinaio Sinbad, durante una sosta nell’isola di Montecristo, poi lo incontra di nuovo durante le feste di carnevale a Roma, accompagnato da Albert. Il matrimonio della giovane donna con Valentine de Villefort va in pezzi quando Noirtier, il nonno della giovane donna, gli rivela di essere stato lui ad assassinare suo padre.
Lucien Debray
Lucien Debray – Segretario del ministro dell’Interno, amico di Albert de Morcerf, confidente e amante della signora Danglars. Debray è anche in affari con la signora Danglars; infatti, su suggerimento di Lucien, inizia a investire una parte dei soldi del marito, ottenendo ottimi guadagni da condividere con il suo amante. Di conseguenza, Debray diventa milionaria e la signora Danglars è in grado di vivere comodamente nonostante il fallimento del marito e la fuga annessa.
Beauchamp
Beauchamp – Giornalista amico di Albert de Morcerf: è stato il primo a conoscere il segreto e il tradimento di Fernand Mondego del Pascià Al-Tebelen, ma non ha condiviso la storia per amicizia con Albert.
Maximilien Morrel ha salvato la vita dell’amico di Albert de Morcerf, il barone Raoul de Château-Renaud, in Africa.
Recensione
Se riesci a leggere più di mille pagine senza annoiarti, se sei costantemente curioso di sapere cosa accadrà nella prossima pagina e se ti entusiasmi per ognuna di queste pagine, allora sai di essere al cospetto di un vero capolavoro .
Non c’è mai stato un uomo che abbia preso parte a queste avvincenti avventure senza provare un brivido, anche se Faria è un personaggio di cartapesta e Dantès è poco più che un nome per tutta la prima metà di Montecristo, fino alla scoperta del tesoro .
Tuttavia, per quanto riguarda questi capitoli iniziali, non credo esista un altro libro in cui si possa sentire la stessa innegabile atmosfera di un romanzo. La continuazione è semplicemente la continuazione di un errore, oscuro, cruento, innaturale e stupido.
Quale uomo comune non pensa di aver subito un’ingiustizia da parte dei potenti e non fantastica sulla “punizione” da infliggere loro? Il conte di Montecristo è senza dubbio il più “oppiaceo” dei romanzi popolari.
Sostituisce il credo di una giustizia trascendente in cui non crede più “sistematicamente” con il paradigma di Edmondo Dantès, l'”ubriacone” esaltato.
Nonostante siano ancora molti i luoghi comuni che sminuiscono la realtà psicologica dei personaggi e la coerenza delle vicende, la grande ma genuina facoltà immaginativa che associa, in rapida successione, le avventure più straordinarie senza preoccuparsi di una trama logica e plausibile può ancora essere interessante.
Il conte di Montecristo è senza dubbio uno dei romanzi più affascinanti mai scritti, ma è anche uno dei peggiori romanzi scritti della storia e di tutta la letteratura.
Il conte di Montecristo è una commedia-tragedia senza fine in cui il gioco e il male assoluto entrano in contatto e convivono. In ogni capitolo c’è un tocco di ironia, un allegretto e lo spirito del Settecento.
Forse l’elemento più significativo de Il conte di Montecristo è il contesto storico-sociale: la facilità di fare soldi, lo spreco di denaro e l’ascesa inesorabile nella scala sociale di uomini d’affari disonesti e funzionari della classe media che sapevano usare politica e amicizie di qualità solo per tornaconto personale; poi il precipizio dove tante improvvise fortune finanziarie precipitarono a terra con la velocità del suono; e conseguenti travestimenti, lacrime per alcuni e gioie per altri: questa è la vera carne del romanzo. di E. Siciliano
Il rapporto insegnante-studente è un motivo ricorrente che affascina le persone. Faria e Dantès costruiscono il legame, la comprensione, la cooperazione e la devozione che si sviluppa tra un insegnante e uno studente. Dantès deve tutto al vecchio, ma il brillante tesoro è meno importante della conoscenza che ha acquisito da lui.
Mio nonno mi raccontava storie affascinanti di una miniera nascosta nonostante il suo quasi analfabetismo (sapeva leggere ma non scrivere). Mi ha consegnato la sua biblioteca, che comprendeva Il conte di Montecristo, poco prima di morire. Il conte di Montecristo contiene tutto: l’amore, il tradimento, l’abuso, la punizione, la determinazione a resistere e il coraggio di arrendersi. Proprio per questo, ho scoperto l’ubicazione della sua miniera segreta.
Recensione di Umberto Eco su Montecristo
“Il conte di Montecristo” è senz’altro uno dei romanzi più appassionanti che siano mai stati scritti e d’altra parte è uno dei romanzi più mal scritti di tutti i tempi e di tutte le letterature.
Il Montecristo scappa da tutte le parti. Pieno di zeppe, spudorato nel ripetere lo stesso aggettivo a distanza di una riga, incontinente nell’accumulare questi stessi aggettivi, capace di aprire una divagazione sentenziosa senza più riuscire a chiuderla perché la sintassi non tiene, e così procedendo e ansimando per venti righe, è meccanico e goffo nel disegnare i sentimenti: i suoi personaggi o fremono, o impallidiscono, o si asciugano grosse gocce di sudore che colano loro dalla fronte, o balbettando con una voce che non ha più nulla di umano, si alzano convulsamente dalla sedia e vi ricadono, con l’autore che si premura sempre, ossessivamente, di ripeterci che la sedia su cui son ricaduti era la stessa su cui erano seduti un secondo innanzi.
Perché Dumas facesse così, lo sappiamo bene. Non perché non sapesse scrivere. Il Tre Moschettieri è più secco, rapido, magari a scapito della psicologia, ma fila via che è un piacere. Dumas scriveva così per ragioni di denaro, era pagato un tanto a riga e doveva allungare. A parte che mentre scriveva a due mani il Montecristo stava nel frattempo stendendo la Signora di Monsoreau, i Quarantacinque, il Cavaliere della Maison Rouge e iniziava a pubblicare il romanzo da Pétion quando ancora il feuilleton doveva finire (né lui sapeva come, interrompendosi talora per sei mesi) sul Journal des Débats (siamo tra il 1844 e il 1846).
Ecco che si spiegano così quelli che altrove ho chiamato “dialoghi a cottimo” (rinvio al mio Il superuomo di massa) dove gli interlocutori, andando a capo a ogni battuta, si dicono per una o più pagine frasi di puro contatto, come due scioperati in ascensore: allora vado, bene vai, addio allora, addio, ci rivedremo?, forse stasera, lo spero bene, posso prendere congedo?, ti prego, sei sui carboni ardenti, buongiorno, grazie di tutto, allora vado, vai, addio.
[…]
Per non dire dell’esigenza, comune a tutto il romanzo d’appendice, anche per ricuperare i lettori disattenti da puntata a puntata, di una ripetizione ossessiva del già noto, così che un personaggio racconta un fatto a pagina cento, ma a pagina centocinque incontra un altro personaggio e gli ripete paro paro la stessa storia – e si veda nei primi tre capitoli quante volte Edmond Dantès racconta a cani e porci che intende sposarsi ed è felice: quattordici anni al castello d’If sono ancora pochi per un piagnone di questa razza.
E poi gli equilibrismi metaforici, da circo, da vecchia nonna arteriosclerotica che non riesce a tenere la consecutio temporum… C’è per esemio una sequenza di similitudini mirabile (ma se ne potrebbero trovare a centinaia) nel capitolo sul telegrafo ottico (LXII) dove la vecchia torre sulla collina, vetusta e slabbrata, è paragonata a una vecchietta: “On n’eût pas dit, à la voir ainsi ridée et fleurie comme une aïeule à qui ses petit-enfants viennent de souhaiter la fête, qu’elle pourrait raconter bien des drames terribles, si elle joignait una voix aux oreilles menaçantes qu’un vieux proverbe donne aux murailles”.
[…]
Detto questo bisogna tornare all’affermazione d’inizio. Montecristo è uno dei romanzi più appassionanti che mai siano stati scritti. In un colpo solo (o in una raffica di colpi, in un cannoneggiamento a lunga gittata) partendo dalla storia sciapa di Peuchet riesce a inscatolare nello stesso romanzo tre situazioni archetipe capaci di torcere le viscere anche a un boia.
Anzitutto, l’innocenza tradita. In secondo luogo l’acquisizione, per colpo di fortuna, da parte della vittima perseguitata, di una fortuna immensa che lo pone al di sopra dei comuni mortali. Infine la strategia di una vendetta in cui periscono personaggi che il romanzo si è disperatamente ingegnato a rendere odiosi oltre ogni limite del ragionevole.
Ma non basta. Su questa ossatura si dipana la rappresentazione della società francese dei cento giorni e poi della monarchia di Luigi Filippo, coi suoi dandie, i suoi banchieri, i suoi magistrati corrotti, le sue adultere, i suoi contratti di matrimonio, le sue sedute parlamentari, i rapporti internazionali, i complotti di Stato, il telegrafo ottico, le lettere di credito, i calcoli avari e spudorati di interessi composti e dividendi, i tassi di sconto, le valute e i cambi, i pranzi, i balli, i funerali.
E su tutto troneggia il topos principe del feuilleton, il Superuomo. Ma diversamente che in Sue (I misteri di Parigi) e in tutti gli altri artigiani che han tentato questo luogo classico del romanzo popolare, Dumas del superuomo tenta una sconnessa e ansimante psicologia, mostrandocelo diviso tra la vertigine dell’onnipotenza (dovuta al denaro e al sapere) e il terrore del proprio ruolo privilegiato, in una parola, tormentato dal dubbio e rasserenato dalla coscienza che la sua onnipotenza nasce dalla sofferenza. Per cui, nuovo archetipo che si innerva sugli altri, il conte di Montecristo (potenza dei nomi) è anche un Cristo, dovutamente diabolico, che cala nella tomba del castello d’If, vittima sacrificale dell’umana malvagità, e ne risale a giudicare i vivi e i morti, nel fulgore del tesoro riscoperto dopo secoli, senza mai dimenticare di essere figlio dell’uomo. Si può essere blasé, criticamente avveduti, saper molto di trappole intertestuali, ma si è presi nel gioco, come nel melodramma verdiano. Mélo e Kitsch, per virtù di sregolatezza, rasentano il sublime, mentre la sregolatezza si ribalta in genio.
Ridondanza, certo, a ogni passo. Ma potremmo gustare le rivelazioni, le agnizioni a catena attraverso le quali Edmond Dantès si svela ai suoi nemici (e noi si freme, ogni volta, anche se sappiamo già tutto) se non intervenisse, e proprio come artificio letterario, la ridondanza?
[…]
Ed ecco che a questo punto sorgono dubbi preoccupanti. Se Dumas fosse stato pagato non a righe in più ma a righe in meno, e avesse accorciato, Montecristo sarebbe ancora quella macchina romanzesca che è? Se fosse riassunto, se la condanna, la fuga, la scoperta del tesoro, la riapparizione a Parigi, la vendetta, anzi le vendette a catena, avvenissero tutte nel giro di due o trecento pagine, l’opera avrebbe ancora il suo effetto, riuscirebbe a trascinarci anche là dove, nell’ansia, si saltano le pagine e le descrizioni (si saltano, ma si sa che ci sono, si accelera soggettivamente ma sapendo che il tempo narrativo è oggettivamente dilatato)? Si scopre così che le orribili intemperanze stilistiche sono, sì, “zeppe” ma le zeppe hanno un valore strutturale, come le sbarre di grafite nei reattori nucleari, rallentano il ritmo per rendere le nostre attese più lancinanti, le nostre previsioni più azzardate, il romanzo dumasiano è una macchina per produrre agonia, e non conta la qualità dei rantoli, conta il loro tempo lungo.
È una questione di stile, salvo che lo stile narrativo non ha nulla a che vedere con lo stile poetico, o epistolare. Il Grande amico di Alain Fournier è indubbiamente scritto molto meglio del Montecristo, ma alimenta la fantasia e la sensibilità di pochi, non è immenso come Montecristo, non così omerico, non è destinato a nutrire con pari vigore e durata l’immaginario collettivo. È solo un’opera d’arte. Il Montecristo invece ci dice che, se narrare è un’arte, le regole di quest’arte sono diverse da quelle di altri generi letterari. E che forse si può narrare, e far grande narrativa, senza fare necessariamente quello che la sensibilità moderna chiama opera d’arte.
Ci sono epopee sbilenche, che non pongono capo a un’opera perfetta ma a un fiume lutulento. Può darsi che non soddisfino le regole dell’estetica, ma soddisfano la funzione fabulatrice, che forse non è così direttamente connessa alla funzione estetica. Sconnesse come una serie di miti Bororo, forse riscrivibili come il ciclo Bretone – e per questo poco importa se nel Montecristo conti più la mano di Dumas o quella di Maquet.
Montecristo è falso e bugiardo come tutti i miti, veri di una loro verità viscerale. Capace di appassionare anche chi conosca le regole della narrativa popolare e si accorga quando il narratore prende il proprio pubblico ingenuo per le viscere.
Perché si avverte che, se c’è manipolazione, il gesto manipolatorio ci dice pur sempre qualcosa sulla fisiologia delle nostre viscere: e quindi una grande macchina della menzogna in qualche modo dice il vero.
Non ci sono ancora recensioni. Sii il primo a scriverne una.